Uno dei gusti che abbiamo tutti, è il gusto della vita. Anzi, forse è qualcosa di più. La natura ci ha dato addirittura un "istinto di sopravvivenza", sì, quando siamo usciti dalla fabbrica anche questo gusto era stampato nei circuiti più interni. Non morire, mai! Ma nella nostra mente si interfaccia come qualcosa di istintivo, quindi è qualcosa che tende a portare i ragionamenti verso la vita, ma se questi sono ormai ben radicati, l'istinto viene emarginato quanto basta per commettere il suicidio. A parte questo valore prefissato di sottofondo, spesso chi sceglie fra vita e morte, preferisce la morte. Questo perché ha quel sapore esotico e di sconosciuto, come tutte le cose proibite, e poi perché spesso è vista come via di uscita da uno stress come potrebbe essere quello occidentale, o ancora come alternativa valida alla vita, in quanto questa non serba felicità.
Personalmente ho sempre preferito la vita alla morte, anche se sostanzialmente non c'è alcuna differenza, se quello che conta è il risultato. Il gusto che ho per la vita, è un gusto che si è formato per suggestione e per analisi. Per suggestione perché i piaceri che mi ha dato la vita sono innumerevoli e ne godo ogni singolo secondo. Per analisi, perché, se tanto vivere o morire non fa la differenza, allora perché non godersi la vita? Vivere è come essere ad una bella festa, chi è che se ne vuole andare da una bella festa? Certo che non per tutti è così, per alcuni è un orribile agonia. Il mio invito è a trasformare l'agonia in felicità, piuttosto che abbandonare l'aula.
Dal De Gustibus.