venerdì, dicembre 01, 2006
posted by Noek at 11:31

La canzone è una penna e un foglio così fragili fra queste dita,
è quel che non è, è l’erba voglio, ma può esser complessa come la vita.
La canzone è una vaga farfalla che vola via nell’aria leggera,
una macchia azzurra, una rosa gialla, un respiro di vento la sera,

una lucciola accesa in un prato, un sospiro fatto di niente,
ma qualche volta, se ti ha afferrato, ti rimane per sempre in mente
e la scrive gente quasi normale, ma con l’anima come un bambino
che ogni tanto si mette le ali e con le parole gioca a rimpiattino...


La canzone è una stella filante che qualche volta diventa cometa,
una meteora di fuoco bruciante però impalpabile come la seta,
la canzone può aprirti il cuore con la ragione o col sentimento,
fatta di pane, vino, sudore, lungo una vita, lungo un momento.

Si può cantare a voce sguaiata quando sei in branco per allegria
o la sussurri appena accennata se ti circonda la malinconia
e ti ricorda quel canto muto la donna che ha fatto innamorare
le vite che tu non hai vissuto e quella che tu vuoi dimenticare...


La canzone è una scatola magica spesso riempita di cose futili,
ma se la intessi d’ironia tragica ti spazza via i ritornelli inutili,
è un manifesto che puoi riempire con cose e facce da raccontare,
esili vite da rivestire e storie minime da ripagare

fatta con sette note essenziali e quattro accordi cuciti in croce
sopra chitarre più che normali ed una voce che non è voce,
ma con carambola lessicale può essere un prisma di rifrazione,
cristallo e pietra filosofale svettante in aria come un falcone....


Perché può nascere da un male oscuro che è difficile diagnosticare
fra il passato appesa e il futuro, lì presente e pronta a scappare
e la canzone diventa un sasso, lama, martello, una polveriera
che a volte morde e colpisce basso e a volte sventola come bandiera.

La urli allora un giorno di rabbia, la getti in faccia a chi non ti piace:
un grimaldello che apre ogni gabbia pronta ad irridere chi canta e tace.
Però alla fine è fatta di fumo, veste la stoffa delle illusioni,
nebbie, ricordi, pena, profumo: son tutto questo le mie canzoni...
(Francesco Guccini "Una canzone")



Chissà che impressione può dare stare a sessanta e passa anni
lì su un palco, di fronte a un pubblico di coetanei, figli e nipoti....


Di certo so cosa si prova a stare sotto il palco, tra quella folla...
Tutti seduti e in ordine per due ore.... a farsi travolgere dalle melodia, ma sopratttutto dalle parole intessute...
piccole gemme o giochi che si rincorrono
ma che piano piano raccontano storie, provocano emozioni e ricordi....

Ogni tanto mi dimentico la bellezza di un live...
ma soprattutto di un live di Guccini...

vecchio?
paroliere sbruffone?

forse...
ma non troppo...

nelle sue canzoni (e in quelle di alcuni suoi "coetanei") c'è qualcosa di più,
non solo c'è la mia vita (visto che sono cresciuta a pane e Guccini)
ma anche una freschezza genuina... sono parole vere...
cioè parole sentite, a volte strani accostamenti, a volte accostamenti troppo usuali...
ma rispetto a molta della musica italiana contemporanea "di successo"...
beh non c'è paragone...


sono canzoni che sanno di vita, di terra, di pietre, case, città, sogni, illusioni, pensieri, sentimenti....
tante canzoni di oggi invece sanno solo di plastica...

ecco perchè ai suoi concerti ci sono tutti.... dal nonno al nipote...
e tutti scattano in piedi a Cirano, Dio è morto, Noi non ci saremo, La locomotiva... chiedendo a squarciagola inutilmente l'Avvelenata...

Salti, mani, simboli, pugni chiusi....
ma soprattutto menti, orecchie e cuori aperti a cogliere le vibrazioni che partono da quel palco... pronti a portarsele dentro fino a casa...







photo: smile
originally uploaded by
*Aemaeth*










Ieri sera al concerto mi sono fatta trascianre da alcune delle mie conzoni preferite (l'isola non trovata, canzone per la bambina portoghese, vorrei, lettera...)
ma una in particolare mi ha commossa
è la canzone che ripercorre una mia storia importante... passo per passo...
e ha un titolo decisamente esplicativo...

Farewell




E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent'anni portati così,
come si porta un maglione sformato su un paio di jeans;
come si sente la voglia di vivere che scoppia un giorno
e non spieghi il perché:
un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos'è.

Giorni lunghi tra ieri e domani, giorni strani,
giorni a chiedersi tutto cos'era, vedersi ogni sera;
ogni sera passare su a prenderti con quel mio buffo montone orientale,
ogni sera là, a passo di danza, salire le scale
e sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore,
quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore.

Poi giù al bar dove ci si ritrova, nostra alcova,
era tanto potere parlarci, giocare a guardarci,
tra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino,
religione del tirare tardi e aspettare mattino:
e una notte lasciasti portarti via,
solo la nebbia e noi due in sentinella,
la città addormentata non era mai stata così tanto bella.

Era facile vivere allora, ogni ora, chitarre e lampi di storie fugaci,
di amori rapaci,
e ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell'epoca nuova,
ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova.

Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo,
ci sembrava d'avere trovato la chiave segreta del mondo.

Non fu facile volersi bene, restare assieme
e pensare d'avere un domani, restare lontani;
tutti e due a immaginarsi: "con chi sarà?"
In ogni cosa un pensiero costante,
un ricordo lucente e durissimo come il diamante
e a ogni passo lasciare portarci via da un'emozione non piena, non
colta:
rivedersi era come rinascere ancora una volta.

Ma ogni storia la stessa illusione, sua conclusione,
e il peccato fu creder speciale una storia normale.

Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo,
sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo.

E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni
impresa;
siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa.

"The Triangle tingles"... farewell, non pensarci e perdonami
se ti ho portato via un poco d'estate con qualcosa di fragile come le
storie passate.

Forse un tempo poteva commuoverti ma ora è inutile credo, perché
ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me.



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5 Comments:


At 01 dicembre, 2006 21:20, Anonymous Anonimo

non sai quanto mi ritrovo nelle tue parole. anch'io, come te, sono cresciuta "a pane e guccini" grazie ai miei e ne sono fiera. bacio

 

At 02 dicembre, 2006 22:50, Blogger nemo

che bella canzone è farewell..
grazie di questo momento bello che mi hai fatto passare leggendo il tuo post e scusa se non mi sono fatto vivo ultimamente..ti voglio bene bacini mario..

 

At 03 dicembre, 2006 11:59, Blogger artemisia

siamo come due foglie aggrappate ad un ramo in attesa...

ecco


Guccini è un'altra cosa (bella) che abbiamo in comune. Ti invidio quel concerto!

 

At 07 dicembre, 2006 17:49, Blogger astralla

L'altro giorno, al palamalaguti, in alto in alto negli spalti c'ero anche io...E anche io ho scritto un post sull'emozione come sempre provata...

 

At 11 dicembre, 2006 10:26, Blogger Noek

@anonimo: benvenuta

@nemo: ti voglio bene anche io... contenta di averti colpito.. .bacini

@arte: :) che bello avere cose belle in comune...

@astralla: :)